Behrouz Boochani, asylum seekers at Manus island. Australia has long exiled asylum seekers on the remote island of Manus. Now ‘free’, the men suffer violence, depression and isolation. If not for whistle-blowers like Behrouz Boochani, their plight might never have been known. The human cost of Australia’s offshore detention centres, where freedom does not equal opportunity. Australia’s offshore detention centre has been razed to the ground but for the 600 refugees who remain on the remote Pacific island of Manus in Papua New Guinea , little has changed. Amid the torment of isolation from family and friends, depression and the trauma of their past, the men try to get on with their lives.

L’INFERNO DEI PROFUGHI

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L’isola di Manus è un’isolotto al largo della Papua Nuova Guinea. Gli australiani, che com’è noto in tema di accoglienza di profughi e immigrati, usano politiche al limite della barbarie, hanno stretto un accordo con il governo papuano per fare di Manus un campo di raccolta, che sarebbe più corretto definire prigione. Da quella prigione si esce solo se si accetta di tornare nel Paese d’origine, diversamente si rimane lì. A tempo indeterminato, senza diritti, tutele, possibilità di riprendersi in mano la propria vita. Le condizioni di detenzione sono disumane. Lo hanno certificato decine di indagini indipendenti e il governo australiano fatica a mettere la polvere sotto il tappeto.

Il poeta curdo iraniano Behrouz Boochani ha passato cinque anni a Manus, poi la pressione internazionale gli ha fatto ottenere un visto temporaneo per la Nuova Zelanda.

Usando un vecchio telefonino e una singhiozzante copertura internet, Boochani, che oggi ha 37 anni, sms dopo sms, messaggio whatsapp dopo messaggio whatsapp, che inviava ad amici e colleghi, ha scritto un memoriale. Ha raccontato la sua vita a Manus, la quotidianità dei blocchi del campo di detenzione, le storie dei suoi compagni prima di viaggio e poi di prigionia.

Se Manus è l’Inferno, il viaggio lungo l’Ade è partito dall’Indonesia, ed è stato un incubo dal quale Boochani è uscito vivo per puro caso.

La summa di tutto ciò è un libro che Add Editore ha pubblicato nel 2019 e che si intitola “Nessun amico se non le montagne“. Quattrocentotrenta pagine (18€) molto dense, toste da leggere. E lo sono per due motivi: Boochani è prima di tutto un poeta e il suo sguardo, anche dal profondo degli inferi, rimane quello del poeta visionario, capace di crudezza e levità nella stessa riga. E poi non si può dimenticare che “Nessun amico se non le montagne” è un lungo messaggio digitato dal telefonino. Un filo che si poteva interrompere per settimane, che soffriva della precarietà del mezzo, del contesto, dell’umore dell’autore. Non c’è manoscritto, carta, penna, computer, stampante. Solo le sue dita stanche e affamate, su una piccola tastiera da tenere lontana dagli occhi delle guardie.

Alla luce di questi elementi si può dire che Behrouz Boochani ha scritto un diario che può stare il libreria accanto a Gramsci e Solgenitsin. L’Australia può essere un inferno, e nessuno lo sa.