Lo confesso, non sapevo che Massimo Zamboni fosse anche uno scrittore. Per me Zamboni era solo il gemello diverso di Giovanni Lindo Ferretti. Due fervide menti emiliane che nel 1982 fondarono i CCCP – Fedeli alla linea e definirono per sempre i miei gusti musicali.
Per fortuna, a volte, i casi della vita aiutano a colmare ingiustificabili lacune e così mercoledì 5 luglio, grazie al Nuovi Mondi Festival, mi sono ritrovato nella piazza colma di gente, in un piccolo paese della Valle Stura di Demonte, Roccasparvera, seduto accanto a Massimo Zamboni per presentare il suo “Bestiario Selvatico. Appunti sui ritorni e sugli intrusi“, uscito a marzo con La nave di Teseo.
L’ho letto il giorno prima tutto d’un fiato e mi sarei preso a schiaffi.
Poteva Zamboni, musicista raffinato, non essere una penna altrettanto raffinata? Ovviamente no. Per la cronaca, prima di “Bestiario selvatico“, di libri ne ha scritti dieci e li ha pubblicati con Giunti, Mondadori, Donzelli, Einaudi. Fate voi.
Veniamo a “Bestiario selvatico“. Centottanta pagine fitte di brevi storie vere, ambientate in Italia, che hanno per protagonisti animali piccoli, meno piccoli, a volte piccolissimi. Animali che devono fare i conti con l’uomo che, con rare eccezioni, è poco propenso a condividere gli spazi.
C’è dell’altro. Molte di queste bestie selvatiche che abitano le pagine di Zamboni sono tornate in Italia dopo essere state assenti per decenni e più, altre invece arrivano per la prima volta spinte da forze esterne: il clima che cambia, una guerra, un’alluvione o una di quelle enormi navi da carico che con le sue acque di presa porta con sé, in giro per il mondo, alghe, pesci e molluschi che da autoctoni si trasformano in alloctoni.
Capita anche agli uomini di emigrare in fuga dalle guerra, dal clima, da una catastrofe naturale e di cercare con una nave la strada per ricominciare a vivere. Tutto il libro vive su questo parallelismo sotteso: si migra, ci si sposta, si viaggia. Bipedi e quadrupedi, uccelli e pesci.
C’è, tra i tanti, un aspetto che mi piace sottolineare. In questo libro che è sulla natura che cambia profondamente, si rinnova, lotta, vince, perde: non c’è allarme. Non c’è il grido ambientalista, non c’è l’ansia per l’imminente arrivo dell’Apocalisse climatica. Ne ho chiesto ragione a Massimo Zamboni e lui ha risposto così: “Perchè siamo già oltre, è già stato superato il limite. Non ci resta che aspettare.”
Forse ha ragione, inutile agitarsi, la frittata è fatta. Rimane la constatazione che “Bestiario selvatico” ha una scrittura sorprendentemente poetica e palesa tutta la grande passione per l’osservazione della natura che, ho scoperto mercoledì scorso, è di Massimo Zamboni già da bambino.
“Sono sempre stato timido, uno che parla poco. Vivevo sull’Appennino, mi sono messo a osservare la natura che mi circondava.”
Vi consiglio di leggere l’ultimo libro di Massimo Zamboni, di immergervi nella lettura di un Esopo dei nostri tempi e di farvi trascinare nelle storie che narrano di lupi e procioni, di castagni salvati da un minuscolo samurai giapponese e di castori solitari, di fenicotteri rosa e di granchi blu.
Farete un viaggio bellissimo.
PS Leggetelo ascoltando “Sorella sconfitta”, album di Massimo Zamboni del 2004.
Le foto sono di Fabio Gianotti