SCRIVERE È FATICA

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In gioventù avevo un’aspirazione: scrivere per la televisione. Non ce l’ho mai fatta o forse non sono stato abbastanza determinato nel voler raggiungere il mio scopo. Fatto è che quando incrocio chi invece vive scrivendo per il piccolo schermo, finisco come San Paolo sulla via di Damasco.

Ho conosciuto Monica Mariani grazie a qualche veemente dibattito social, in seguito al quale ci siamo ritrovati soli a difendere Fort Alamo senza nemmeno uno straccio di Davy Crockett a darci conforto. In seguito ho scoperto che Monica Mariani scrive per la televisione (quella vera), ma soprattutto che aveva da poco scritto, insieme a un’altra sceneggiatrice, Francesca Primavera, un romanzo le cui radici sono tutte immerse nella fiction targata Rai.

Si intitola L’estate delle veneri ed è il primo romanzo dedicato al “Paradiso delle signore“, soap opera targata Rai1, in onda dall’8 dicembre del 2015. Ovviamente ne ignoravo completamente l’esistenza.

Le autrici, insieme alla straordinaria osservatrice di cose di tele, Alessandra Comazzi, lo hanno presentato l’ottobre scorso, in anteprima, al Salone del Libro di Torino. Non potevo mancare all’appuntamento e lì, finalmente, ho conosciuto Monica. Poche ore, molta frenesia (il Salone del Libro è la cosa dal ritmo più milanese che abbiamo a Torino) e quindi l’intervista che avevo in testa ha dovuto attendere.

Qualche settimana dopo le ho inviato delle domande via mail e Monica mi ha risposto. Vi riporto qui il nostro carteggio. Chi ama la scrittura e la televisione sono certo che apprezzerà.

Un’unica necessaria premessa: Monica è autrice tv, sceneggiatrice, editor specializzata nella serialità. Ha firmato prodotti importanti sia per Rai che per Mediaset, da “Un posto al sole” a “Distretto di Polizia“, da “Ris Roma” a, appunto, “Il Paradiso delle signore“, ambientato a Milano a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, nel pieno del boom economico di un’Italia uscita con le ossa rotte dalla Guerra. L’Italia dei nostri nonni.

Quando hai capito che la scrittura sarebbe stato il tuo mondo?

L’ho capito presto perchè ho imparato presto a scrivere. Mia mamma era maestra, leggere e scrivere era un gioco che facevo con lei. Le primissime cose che ho realizzato, senza che ne avessi la minima cognizione, avevano a che fare con la sceneggiatura. Ritagliavo le vignette di Topolino e le rimontavo in modo diverso per raccontare storie nuove. Poi mi piaceva scrivere piccoli racconti già al liceo e ovviamente i temi. Insomma che la scrittura sarebbe diventata il mio mondo mi era chiaro da un po’.

Scrivi per professione da tanto tempo e lo fai per la tv, quali sono le regole d’ingaggio che hai dovuto imparare?

Ho imparato che se scrivi per un attore devi abbandonare te stesso, entrare in un personaggio e parlare come lui parlerebbe. Sembra scontato, ma non lo è, data l’abbondanza di personaggi che parlano tutti allo stesso modo. Ho imparato anche che la battuta migliore è quella che non si scrive, perchè spesso basta la costruzione della scena. Se proprio devi scriverne una, deve avere una funzione. La battuta, nel cinema come nella televisione, serve a fare una di queste tre cose: far ridere, dare indicazioni sul personaggio o mandare avanti la trama. Se non fa nessuna di queste cose, meglio tacere.

Secondo te esiste ancora la Tv pedagogica, quella di quando eravamo bambini noi? In certi passaggi il “Paradiso delle Signore” la ricorda.

La tv pedagogica continua a esistere, ma solo in parte. Credo esista un’etica profonda di chi scrive, che dovrebbe attagliarsi a tutto ciò che produci, cioè quella che io definisco onestà di racconto. Se la rispetti, in qualche modo, il prodotto ne beneficerà. Circa il Paradiso Delle Signore, c’è da dire che noi eravamo un Paese che all’epoca era desideroso di dare prova di sè, anche a livello valoriale. Nel libro credo sia più evidente che in tv. Traspare nel linguaggio dignitoso e rispettoso, nella fiducia dell’avanzamento culturale di un popolo che si scopriva tale forse per la prima volta. Era un’Italia che aveva voglia di evolversi, di ricominciare. C’è una parola che ricorre spesso nelle nostre riunioni di sceneggiatura: “aspirazionale”. Riuscire a restituire attraverso il Paradiso Delle Signore il ritratto di un Paese che aspirava ad essere migliore e che aveva imparato qualcosa dagli orrori della guerra. Sono elementi che oggi si sono in gran parte persi. Non so dire se esista ancora una TV pedagogica, penso però che quando scrivi sei pedagogico ogni volta che lavori con convinzione verso quello che stai facendo. Qualcosa della tua lealtà può passare, e questo è sempre pedagogico.

“L’estate delle veneri” è il tuo primo romanzo, quanto ti sei divertita e quanto è stato difficile passare dalla sceneggiatura al romanzo? E poi c’è Emile Zola sullo sfondo con il suo “Al paradiso delle signore” al quale vi siete ispirate. Si tratta di un azzardo incosciente o uno stimolo a non fare scivoloni?

Monica Mariani e sinistra,
BookPostino a destra

Mi sono divertita negli interstizi della sofferenza, perchè comunque scrivere è fatica. C’è Emile Zola, è vero, ma non solo. Ogni volta che metti il cursore sullo schermo, chiunque tu abbia letto rappresenta il costante monito a non essere blasfemo. Ed è un monito che non ho mai tradito, nel senso che a lungo ho rinunciato a scrivere un romanzo piuttosto che essere blasfema, non voglio paragonarmi con i miei modelli letterari. Poi è successo che ho iniziato a scrivere, l’ho fatto in un momento difficile della mia vita e non so nemmeno come sia riuscita a farlo.

Però sono molto contenta di questo romanzo, anzi ne sono orgogliosa, perchè c’è molto di me, e questo vale anche per Francesca . C’è molto di ciò che ci piace, c’è un’idea di solidarietà femminile che è emersa da sola nella scrittura, che si trova anche nel proto femminismo del protagonista della serie tv, che è un maschio molto più progredito dei suoi omologhi contemporanei. “Nell’estate delle Veneri” c’è il nome di mia figlia e quello di mia madre, ma soprattutto sono riuscita ad arrivare alla fine, obiettivo che quando scrivi non si deve dare mai per scontato.

Lavorare con Francesca Primavera, voglio sottolinearlo, è stato bello, perchè lavorare con chi ti fidi è un privilegio. Nulla è più avvilente che lavorare con qualcuno che non stimi. Abbiamo condiviso la scrittura, ovvio, ma non solo. Lei è più giovane, ma ci accomuna l’estrazione sociale, la cultura di riferimento, siamo e ci sentiamo affini e questa affinità credo si senta nelle pagine del libro. 

Il libro sta andando bene, credo che una buona fetta di pubblico affezionato alla serie stia andando in libreria, forse per la prima volta, o quasi. Che percezione ne hai? Continuerai a farti contaminare dalla narrativa?

È vero che il libro sta andando bene e che quindi la richiesta di un bis potrebbe esserci. Al momento non è previsto, ma potrebbe capitare, perchè è vero che abbiamo portato in libreria degli spettatori che non sono normalmente dei consumatori della pagina scritta. Inutile negare che, per noi, è motivo di grande orgoglio e non sarebbe male poter continuare a trainare dalla tv alla libreria altri spettatori.

In fondo la contaminazione libro-tv permette al pubblico di vedere i personaggi ai quali si sono affezionati in tv sotto più dimensioni. È un modo per conoscere meglio il loro mondo, un approfondimento psicologico che il piccolo schermo non può consentire.