L’umorismo di Caraci scartavetra tic e vezzi torinesi

Condividi questa pagina

Un amore impossibile, lui è sposato e sotto stretta sorveglianza della consorte, dei colleghi comici, loro malgrado quindi divertenti, ma solo per chi legge, e ancora: il capo supremo, un orrendo personaggio che è il compendio di tutti i capi pieni di sé, odiosi e molesti. Il tutto condito con ironia e sarcasmo. Sono gli ingredienti di “Cartavetro” (Impremix edizioni), l’ultimo romanzo di Rosanna Caraci, giornalista torinese la cui penna appuntita vi terrà incollati alla pagina e vi strapperà più di una risata.

Al centro del romanzo metropolitano, come è stato definito nell’introduzione da Stefano Tallia, c’è Dada, donna risoluta grintosa e spiritosa che proprio non ci sta a vestire i panni che le hanno cucito addosso superiori e colleghi. Lei di mestiere fa la comunicatrice, un ruolo che però viene preso sottogamba e bistrattato in primis dal suo superiore.

E lei zitta non ci sta, bacchetta e punzecchia, colleghi e il suo capo, un mediocre che si crede un grande uomo di successo.
“Cartavetro” è un romanzo metropolitano dicevamo che punta i riflettori sul lavoro femminile.

Si ride ma a denti stretti, l’idea è quella di far riflettere sul mobbing, con sarcasmo e ironia. Ho iniziato a scrivere nel primo Lockdown. L’idea era scrivere qualcosa di leggero, ma non troppo, sull’occupazione femminile”, ci ha raccontato Caraci.

Guai a leggere il romanzo in chiave autobiografico. “Si rimarrebbe delusi“, ha chiosato l’autrice che ha voluto ricostruire certi “teatrini torinesi“, fatti di capetti, discendenti di famiglie di imprenditori, totalmente incapaci di traghettare l’azienda di famiglia verso lidi sicuri, in tempi di crisi.
Sono quelli che fanno gli amiconi, quelli delle grandi pacche sulle spalle, a cui però poi devi chiedere: scusa ma lo stipendio? Quando arriva?“, ha ironizzato l’autrice.

E’ il familismo torinese, di chi gioca a imitare gli Agnelli o i Lavazza, senza averne lo standing, quello narrato da Caraci. C’è anche un sottobosco di impiegati totalmente “votati alla causa del capo, che obbediscono in maniera acritica, personaggi unti con cui è impossibile instaurare alcun rapporto”, ha commentato l ‘autrice.
Un panorama umano desolante quello descritto in “Cartavetro”, in cui l’esuberanza e l’eloquio tagliente di Dada conquistano subito il lettore. Lettore che viene subito avvolto dai dialoghi scoppiettanti e dalle descrizioni di un panorama piccolo borghese della provincia italiana.

“Cartavetro“ inizia come un giallo sentimentale per poi virare verso il romanzo ironico e amaro sul mondo del lavoro. “Il patto tra capo e sottoposti in questi anni si è sfilacciato. E volevo raccontarlo. Il guaio è che ormai certi comportamenti dei propri superiori non vengono neanche più percepiti come mobbing, ma come costume comune. Tant’è che chi come me veleggia attorno ai cinquant’anni si rivede nelle vicende della protagonista“, ha spiegato Caraci.
E forse i tic e i vezzi dei colleghi e dei capi faranno rivalutare a molti lo smart working, lontano da persone grigie, che sembrano uscite dalle pagine del romanzo della Caraci.